Vita, Nuova Zelanda, Covid

2020-03-25

Note:

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In un tempo che ora sembra un milione di anni fa, io e Gabri avevamo organizzato un viaggio di due settimane in Nuova Zelanda, perché un marzo antipodico ci sembrava meglio di uno a Londra ed avevo ancora un accordo col mio datore di lavoro di avere il 25% del tempo libero.

Poi sono cambiate un po' di cose. A febbraio, io e il suddetto datore di lavoro ci siamo, diciamo, accordati per avere il 100% del tempo libero, in cambio di un taglio del 100% di stipendio. Un po' di giorni dopo le notizie del Covid-19 avevano cominciato a sembrare fantascienza scadente. La famiglia e gli amici in Italia erano bloccati in casa, il governo inglese non sapeva che palle inventarsi ma riusciva a contraddirsi lo stesso. Avevamo la scelta di non partire, "per sicurezza", come suggerito da un po' di amici, o di partire per più tempo, visto che non c'era molto altro da fare a Londra.

Tipico caffè del mattino al bar del furgone.

Ci abbiamo pensato forse addirittura per un minuto intero e il giorno stesso della partenza abbiamo posticipato il ritorno.

La nostra casa e mezzo di trasporto sono stati un furgone equipaggiato con un letto, fornelli e un piccolo frigo. Un vasino chimico lo permetteva di dichiarare self-contained (forse nel senso di tenersela?), il che vuol dire poter dormire in diverse in parchi e riserve naturali. Questo ci ha dato il massimo della flessibilità: il livello di dettaglio del nostro piano di viaggio era "in senso orario".

Uno stormo di uccelli spaventato dal passaggio di un camion lungo la East Coast Road, Whakatiwai

Vasino o no, ovunque abbiamo dormito c'erano sempre gabinetti pubblici, sempre puliti, anche nel caso fossero solo latrine senz'acqua. Nel furgone non c'era doccia, per cui ogni tanto ci siamo fermati in qualche campeggio per farne una. Nessun kiwi è stato vittima dell'italica ascella.

Ruote abbandonate da anni lungo la East Coast Road, Whakatiwai

La routine quotidiana consisteva in caffè e colazione al bar dietro al furgone, poi esplorare l'area dove ci svegliavamo. Sono riuscito a fare un po' della fotografia che mi piace, quella che prevede scarponi e treppiede. Se ci capitava una pausa per pranzo o da bere in qualche paese cercavamo un posto dove ricaricare la batteria del portatile.

Una spiaggia illimitata e liscia come uno specchio, Tauranga

A metà giornata pensavamo ad una direzione dove guidare e dove passare la notte successiva. Abbiamo provato a tenere il tempo di guida basso, meno di due ore al giorno, e fermate improvvise per una foto o cambi di piano erano una cosa regolare.

La "Cathedral Cove", Coromandel

Dopo cena, tempo di un hack: ho cominciato a lavorare al mio progetto psycopg3, e sono riuscito a programmare abbastanza regolarmente, usando la luminosità del portatile al minimo per risparmiare batterie e solo con la documentazione scaricata, senza internet, per cui bello concentrato. Il progetto sta prendendo una bella forma, ma preferisco parlarne a parte.

Dopo poco più di una settimana di viaggio, il governo neozelandese ha imposto due settimane di isolamento a chiunque venisse da fuori, per cui è stato un grande tempismo riuscire ad entrare e godersi il paese. Non molti giorni più tardi l'impiegato di un parco incontrato per caso ci ha avvisato che la nazione aveva appena passato la soglia dei 100 casi ed era scattato il "livello 3", con il "livello 4", lockdown, annunciato in 48 ore.

La via lattea vista dall'emisfero sud.

Siamo subito andati in un paese vicino per cercare una scheda telefonica per organizzarci meglio, e da quelle parti abbiamo capito cosa volesse dire "livello 3": già a poche ore dall'annuncio la serenità precedente era scomparsa e tutto quello che non fosse essenziale - caffè, ristoranti, barbiere, negozi - era già chiuso. La cosa sarebbe stata seria: se qui dicono un mese in casa sarà un mese in casa.

La "vasca di champagne", una vasta sorgente calda nella zona di Wai-O-Tapu

La prima scelta fatta è stata di dove passare il periodo di lockdown: tra Auckland ed una città più piccola abbiamo scelto quest'ultima: Whangarei, il capoluogo del Northland. La prima notte l'abbiamo passata in furgone, e abbiamo avuto modo di vedere che il supermercato locale era ben fornito ed organizzato per evitare il saccheggio. Il giorno dopo siamo riusciti a trovare un alloggio per il mese successivo.

Il nostro ultimo giorno di libertà, Waitangi.

A parte la bellezza di questo posto, qualcosa che ci ha colpito è stata la gentilezza e l'affetto dei neozelandesi che abbiamo incontrato. Dalla signora delle pulizie che ci ha regalato un ventaglio di paglia contro le mosche in una giornata afosa all'agente immobilare che ci ha richiamato per assicurarsi che avessimo trovato dove stare in isolamento. La sensazione che ci hanno dato, tutti, è quanto ognuno tenga al benessere dell'altro.

In questo momento è passata la mezzanotte da pochi minuti: il lockdown è in atto e l'idea è che qui le persone saranno serie a rispettarlo. Abbiamo ancora il furgone, quindi potremo fare la spesa quando servirà. Abbiamo da leggere e da disegnare, io ho un lavoro remoto da cercare e un po' di progetti personali da sviluppare.

Un abbraccio a tutti gli amici e le famiglie. In bocca al lupo e speriamo di rivederci presto!